lunedì 3 luglio 2017

ogni cosa ha il suo prezzo

E' una calda giornata estiva, di quelle che restano addosso; l'arsura mi tormenta, cerco refrigerio e spero che qualcuno, magari accadesse, venga a tirarmi fuori da questo limbo infernale nel quale, povero me, sto vagando da tempo. Arranco nella disperazione... no, no, non fraintendete, non cerco compagnia, ho solo bisogno di aiuto, devo risolvere una necessità per me vitale. Mi son ritrovato in trappola, senza sapere come sia successo e non so nemmeno da quanto tempo è successo. Tutto quello che so è che sono chiuso in questa stanza, una stanza dove la luce arriva poco e male, come se fosse penombra piuttosto che luce, come se fosse crepuscolo, come se... come se... come non so spiegare. Finalmente la luce fioca smette di essere tale: un bagliore mi acceca e poi aria e poi... lei.
Come nelle favole, quelle belle storie che accompagnano l'infanzia propiziando il sonno ai bimbi, torno al meriggio, ma avrei dovuto ricordare che nella narrazione c'è una morale, un insegnamento: la destinazione a cui conduce la favola stessa. Lei con la sua pelle chiara, così pallida che sembra quasi di non poterla toccare, mi attira a se. Il suo profumo ancor più esaltato dal calore estivo mi fa girare la testa. Sento i battiti del suo cuore,  sento lo scorrere del sangue nel suo corpo. Il suo corpo... tutto in bella mostra è un richiamo troppo forte. Quei movimenti insieme sinuosi e certi mi hanno imbrigliato ormai completamente. Non posso resistere. Mi avvicino con delicatezza, lemme, lemme e praticamente non visto, la tocco. E così a quel tocco è seguito un bacio, la passione mi ha annebbiato il cervello e ho perso qualsiasi remora, ogni ultimo barlume di renitenza. Un'attrazione fatale.
Lei mi ha ridato speranza, ha nutrito la mia insufficienza, ha colmato ogni scarsità e risolto ogni assenza, ma il mio appagamento è destinato a durare poco. Imparo oggi una lezione non richiesta, scopro oggi che ogni cosa ha un prezzo e che nulla ci appartiene per sempre.
E' colpa mia: sono stato troppo presente, pressante, quasi ossessivo.
L'ho tormentata, le sono stato oltremisura intorno ignorando il fatto che lei cercasse invano di liberarsi di me. Lo sapevo, ma mi sono illuso, ho fatto finta di non sapere, di non capire, preso come ero a soddisfare un mio esclusivo bisogno. L'ingordigia ha preso il sopravvento e della sua linfa vitale ne volevo sempre di più. Totalmente ubriaco di lei, sfinita dalle mie attenzioni, non ascolto il suo invito ad andare via, lasciarla in pace. Ho capito troppo tardi di essere in pericolo. Tornare indietro non si può, non mi è concesso. Non riparerò i miei errori e non rimetterò le cose a posto. Mi sono spinto troppo in là, oltre le mie reali capacità. Accidenti avrei dovuto pensarci prima, mantenere la calma, fermarmi in tempo. Tento una disperata fuga, ma sono appesantito, il bottino ha il suo peso e io sono stanco e assonnato. Vorrei fermarmi e dormire un poco, ma non posso. In fondo lei non voleva farmi del male, me lo aveva detto di andare. Ha provato ad allontanarmi, si è dimenata affinché fuggissi in tempo, ma io non le ho dato retta, non le ho lasciato altra possibilità se non quella di colpirmi. Ecco qual è il prezzo della felicità, della mia felicità. Ecco quanto costa l'ingordigia. Mentre muoio non provo per lei alcun rancore, di lei mi resta un dolce ricordo. E' stata dura la mia breve vita e se mi avessero detto quale fine ingloriosa mi attendeva su questa parete, avrei chiesto al creatore il permesso di nascere libellula invece che zanzara.

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