venerdì 29 novembre 2013

la finzione

L'arte del mago è quella di creare una realtà impossibile facendo ricorso al sotterfugio, al trucco, insomma a una realtà illusoria. Questo utilizzo dell'inganno è tuttavia oltre modo onesto, in quanto il mago informa sempre il pubblico del fatto che lo ingannerà. Sarà compito dello spettatore, poi, comprendere che non vi è alcuna sfida alla sua intelligenza ma solo l'intento di regalargli un'ora di incanto e di meraviglia. Eppure esiste chi è capace di compiere inganni veri, che non hanno proprio niente di nobile.
Nella vita come nel lavoro. La fregatura è sempre in agguato e generalmente arriva da chi meno te lo aspetti. Voglio raccontarvi una storia vera e divertente.
E' il ricordo di uno spettacolo svoltosi durante una calda serata estiva in un locale con i tavolini "fuori" vicino a una pedana che fungeva da palco. Prima del mio show c'era l'intrattenimento del musicista che effettivamente era intento a suonare, almeno così sembrava. Il mio amico Fabio, accortosi di una cosa curiosa, mi chiamò indicando cosa il musicista stesse suonando.
- "La tastiera" dissi io. E invece... niente. Il tizio non stava suonando niente. La musica era registrata e il tipo, sfacciatamente, muoveva le mani come se ci fosse stata una tastiera. Che non c'era. L'unica cosa sotto le sue dita era la custodia del mixer e del lettore cd. Un pò nascosta da altri aggeggi sembrava davvero che la tastiera ci fosse. La cosa più divertente (o irritante) è proprio questa: nemmeno il fastidio di mettercela una tastierina, una clavietta, un citofono... niente. E poi sarei io quello che imbroglia? Mah!!!

martedì 19 novembre 2013

il ritorno di kappadicuori

Sono ormai tre anni che il nuovo romanzo è bello che pronto. Lo hanno valutato alcune case editrici e per tutte è pubblicabile. Purtroppo però la figura romantica dell'editore che investe e dello scrittore che scrive sembra essere ormai un lontano ricordo. Oggi lo scrittore si deve auto produrre. 
Il racconto, a differenza del primo "Kappadicuori" pubblicato da "Il filo" dalla forte impronta fantasy, è un giallo dai risvolti divertenti. Mentre Kappadicuori è vissuto dal protagonista su un doppio piano dimensionale, la realtà e la fantasia, il nuovo romanzo si svolge tra le vie di Bari ed è costellato di personaggi molto poco fantasy e molto legati alla realtà del territorio. Max si trova ad avere a che fare con Tonino, un singolare ladruncolo, ma anche con Sara, un affascinante avvocatessa (per quanto le desinenze al femminile nelle professioni siano sbagliate) penalista che avrà la sventura di imbattersi nello stesso personaggio. Al quale però alla fine del racconto... no basta non posso dirvi di più.
In alto a destra c'è un simpatico bottone grazie al quale voi, affezionati lettori dei miei racconti, potrete decidere di fare una volontaria donazione dall'importo che liberamente deciderete, altrimenti che donazione sarebbe? Qualsiasi cifra andrà bene. A cavallo Donato non si guarda in bocca. Se tutti insieme si riuscisse a raccogliere la cifra per pagare la pubblicazione sarebbe una cosa fighissima. Io saprei come sdebitarmi... che ne so: una copia del romanzo in regalo, oppure uno sconto, a chi avrà più o meno donato? E' una cosa, credo, possibile. Ma credo anche che non abbia prezzo il sapere di aver partecipato alla realizzazione di un sogno. 
Il nuovo racconto dal titolo "Kappadicuori ed il mistero dell'automobile traslata" merita davvero di prendere la via delle stampe. Non perché l'abbia scritto io ma perché è forte davvero.
Succede di tutto! Chiunque lo abbia letto si è davvero divertito. Io, se fossi in voi, parteciperei alla realizzazione di questo sogno. Sarà fantastico incontrarci alla presentazione del libro e conoscerci tutti di persona.

la solitudine

"Ognuno è solo sul cuor della terra..." scriveva Salvatore Quasimodo. Ci pensavo perché tempo fa ho scritto due righe sull'argomento.
Le ho ritrovate oggi per caso. Non so perché, non ricordo il motivo, però mi è piaciuto rileggerle ed allora eccole qui...

infine resto solo
solo fra mille abbracci 
solo fra mille sguardi
occhiate furtive che scrutano dentro
alla ricerca di un'anima triste

infine resto solo
solo fra il brusio della gente
solo fra mille sorrisi di un attimo
parole ed emozioni attratte da un incarto dorato

infine resto solo 
prigioniero dei miei sogni
braccato dagli sguardi e dai sorrisi
cercato dalla vita, madre di tante altre vite

sono felice un attimo, un minuto, una vita

infine resto solo

il provino

A chi fa il mio mestiere, prima in gioventù ma succede anche in carriera, accade di andare a tenere dei provini. Oggi li chiamano "casting" ma sempre quello sono: provini. Quando dico "il mio mestiere" non intendo il "mago" e basta ma piuttosto tutte le professioni del variegato mondo dello spettacolo. 
Essendo uguale il prodotto finito, vale a dire l'intrattenimento, tutti gli artisti di conseguenza, fanno lo stesso mestiere. Perché si fanno i provini? Le ambizioni sono sempre le stesse e tutte portano alla ricerca della notorietà. Ma quando si arriva al primo, fatidico provino?
In principio è la "gavetta" che, in poche parole, siccome sei giovane e non ti caga nessuno significa andare a fare spettacoli in posti di merda: gratis o sottopagato e qualche volta imbrogliato.
Certi organizzatori che sovente fanno un altro lavoro che non c'entra niente con lo spettacolo, trovano in queste giovani leve il pane quotidiano. Con la scusa del "devi fare esperienza" convincono il nuovo artista a esibirsi in condizioni precarie, condizioni che un professionista non accetterebbe mai.
In ogni caso il giovane, lungimirante, si esibirà ugualmente perché quando fai uno spettacolo in un quartiere rionale, con il pubblico spalla a spalla, su una pedana di due metri per due che ospita anche il tastierista e la cantante... beh... altro che compenso: quella è sul serio esperienza.
Con il tempo, il nome comincia a girare. Ci si distacca dagli organizzatori alla buona e si comincia a rispondere a telefonate un pò più serie. Non proprio serie, serie, ma almeno non totalmente idiote. 
La pedana di due metri per due scompare e al suo posto compare il palcoscenico. La festa di piazza, la sagra paesana, il festival canoro... cose così. Il giovane intanto ha vinto la timidezza di chiedere il compenso e non si fa più fregare. Qualche soldo comincia a guadagnarlo.
Finalmente qualcuno lo informa che a breve ci sarà un provino. I casting servono per partecipare a un programma TV. Lui ci crede poco, si accontenta del suo giro di feste, ma il verme della notorietà comincia a farsi strada nella sua testa. C'è sempre qualcuno che ti convince che "devi andare in televisione". Arriva il giorno e l'artista si presenta carico di speranze al suo esame. Dopo l'attesa insieme con altri giovani nella sala adiacente giunge il suo turno e viene chiamato: Entra nello studio. L'atmosfera è surreale, strana per lui che è abituato ad avere le folle a stretto contatto ed è strano per lui trovarsi in uno studio vuoto, con solo due persone di fronte, sedute ad una scrivania, più una terza che riprende con la telecamera, è davvero una cosa strana. Lo fanno mettere sul punto rosso, quando c'è. Una signora gentile gli fa alcune domande: "come ti chiami, cosa ci farai vedere, cosa ti aspetti e dove vorresti arrivare?" Il ragazzo risponde diligente e finalmente può fare il suo numero. I due osservatori lo guardano... intanto l'esibizione di pochi minuti giunge al termine. La signora gentile sorride e dice: "molto bene, grazie, ti faremo sapere". Congedandolo. Il "ti faremo sapere" è una delle cose più odiate e ricorrenti nella storia dei provini. E' la frase che l'artista si sentirà ripetere ogni volta che ne farà uno. La frase travestita da promessa, in realtà non promette niente e non garantisce che qualcuno farà davvero sapere qualcosa. Allora il giovane torna a casa un pò confuso. Non sa se deve ritenersi soddisfatto e si chiede se ha fatto bene e se poteva fare meglio. Allora prende l'agenda e si ricorda che all'indomani deve andare a fare una festa. Ed è così che lo spettacolo continua.

La televisione, quella seria, giunse nella mia vita quando avevo appena 23 anni. Nessun provino, solo un colloquio conquistato a suon di telefonate. Il mio primo contratto. I provini son venuti dopo. Ho lavorato molto per la televisione: altre due rate ed ho finito di pagarla. Non sempre i provini sono meritocratici. Andare in televisione non significa diventare famosi. Ti lasciano giocare un poco e dopo, quando raggiungi quel limite che non devi valicare, ti rimandano a casa. Altrimenti rischi sul serio di diventare famoso. E se la cosa non è previsto che accada state certi che qualcuno farà in modo di non farla accadere. Il più sveglio lo comprende e lascia fare, così in TV ci tornerà a più riprese, pur non vincendo mai. Ogni apparizione fa curriculum e ogni video finirà nel suo "showreel", quello che l'artista metterà sul proprio sito. Il meno furbo invece si incazzerà tantissimo, si lamenterà e non sarà più chiamato. Allora uno dice.. ma ha senso farli i provini? Non lo so... penso di si. A patto di restare con i piedi per terra. In fondo non si sa mai: anche a quarantanni può capitare il provino giusto. 

martedì 12 novembre 2013

una manovra sbagliata

Quella che sto per raccontare è una storia realmente accaduta alla quale, ciò nonostante, faticherete a credere. Circa vent'anni fa, anno più, anno meno, avevo una Austin Metro modello "Surf". E' stata la mia prima automobile. Fu acquistata nuova da mio padre quando la sua Renault 5 dopo anni di onorato servizio (prese il posto della sportivissima Lancia Fulvia Zagato) decise di riposare per sempre.
Alla soglia dei 60 mila chilometri l'Austin fu "abbandonata" da mio padre in quanto aveva deciso di darla a me perché lui non se la sentiva più di guidare. Necessitando di un'automobile, patentato da poco, fui ben contento di adottarla. Sistemati gli ammortizzatori che nel frattempo erano andati giù e qualche altra cosetta, la fidata Austin Metro divenne la mia automobile. E fedele lo è stata sul serio, per molto tempo, fino a raggiungere la ragguardevole soglia dei 180 mila chilometri. Per una "mille", son davvero tanti.
Insomma, con la mia auto sono stato un pò dappertutto. Mi ha accompagnato nei luoghi più impervi per i miei primi spettacoli come ad esempio, non dimenticherò mai, quello a San Mauro Forte. Chilometri e chilometri di curve e tornanti.
L'Austin è stata la prima alcova dei miei amori di gioventù ed i suoi sedili grandi e comodi hanno accolto molte ragazze. Fino a quando mi fidanzai. La fidanzata in questione tanto bella quanto nervosa, litigavamo spesso per le ragioni più stupide, una mattina, durante una discussione, decise di tirarmi una borsettata mancandomi clamorosamente. Il colpo andò a segno, purtroppo, colpendo la leva che aziona le spazzole sul parabrezza. Rompendola. Ero affezionato alla mia auto, le volevo bene e siccome per me era come un mercedes ci restai veramente male. Sistemai la leva con l'Attack e per i primi tempi la cosa funzionò.
Ma l'Attack dopo circa sei mesi perdeva efficacia. Ed io lo rimettevo. Finché il potente adesivo smise definitivamente di fare effetto. Occorreva cambiare il pezzo. Ora, non so se ne siete a conoscenza, quel particolare pezzo della leva è collegato ad una specie di anello che gira intorno al volante terminando con la leva che aziona i fari. Perciò bisogna cambiarlo tutto. E per sostituirlo è necessario smontare il volante. Che ha un bel bullone al centro.
Mi rivolsi ad un personaggio del mio quartiere che fa il meccanico, non ho mai capito bene se per diletto o per lavoro, che periodicamente ridipinge la sua vecchia auto, chiedendogli di procurarmi il pezzo necessario. Nel giro di qualche giorno il tipo procurò il pezzo e si propose di cambiarlo. "Ma lo sai fare?" fu la mia domanda. "Com'è? I so du mestir!" Fu la sua risposta. Decisi di fidarmi.
Il giorno dopo alle tre del pomeriggio, in piena estate, il meccanico arriva puntuale all'appuntamento nei pressi dell'attività di mio fratello. Era luglio. Lui arriva a torso nudo già sudato. Nella mia automobile gronda sudore da ogni dove sui sedili. "Scusa, non hai una maglietta?" Gli chiedo ingenuamente ed un pò schifato. "No, so du mestir" fu la risposta.
Ad ogni modo non avevo la possibilità di seguire i lavori dovendo dare una mano al parente. Fui costretto a lasciarlo solo. Dopo una mezz'ora vedo il meccanico chiamarmi fuori dalla porta. "Che succede?" "Niente non ho la chiave del numero giusto per svitare il bullone sul volante". "E adesso?" "Faccio con martello e scalpello". "Martello e scalpello??? Ma sei sicuro?" "Non ti preoccupare, so du mestir!"
Sempre meno convinto torno dentro lasciando il folle tecnico alle prese con la mia automobile. Trascorre un'altra ora e lo vedo di nuovo sulla porta a chiamarmi. Lo raggiungo come fossi un padre in attesa di notizie al parto del suo primo figlio. "Allora?" "Tutto a posto, ho cambiato il pezzo, c'è solo un problema..."
Ho quasi paura a chiedere. Ma devo farlo: "quale problema?" "Lo sterzo non gira più..." "Come non gira più? Ma prima funzionava..." "E lo so, adesso non gira più" "E meno mal che si du mestir!!!" Insomma, il tecnico pretese comunque il pagamento del pezzo nonostante il danno arrecato: aveva spaccato il bloccasterzo. Riesco a spuntare un prezzo migliore e lo mando via. L'avventura terminò con la mia povera Austin Metro rimorchiata da un vero meccanico. Quello che risolse il problema. 

lunedì 11 novembre 2013

l'amore mendace

L'altro pomeriggio il figlio di un amico è venuto da me per chiedere consiglio. Sono per lui la figura di zio più vicina alla sua età. Adulto abbastanza per poter essere consultato e, al contempo, non così grande da fargli provare imbarazzo. Penso che lui abbia le idee più chiare delle mie circa le questioni di cuore visto come casco male ogni volta ma, se viene a chiedermi un parere, devo mostrarmi all'altezza della situazione. Ho sempre avuto un certo talento nel dispensare buoni consigli, tanto quanto è grande la mia mancanza di talento nel proteggere me stesso dalle delusioni.
C'è una ragazza che gli piace ma lui ha già la fidanzatina e non sa cosa fare. In passato quante volte è successo a me? Quante volte ho gestito due fidanzate insieme? Non per vanagloria ma solo per paura di ferire l'una o l'altra. Come fai a guardare negli occhi una persona e dirle "addio" senza soffrire, senza sentirti responsabile? Eppure le donne lo fanno con rara maestria: quando non ti vogliono più ti lasciano e basta. 
In ogni caso non amo le situazioni ambigue, non mi piace tenere due piedi in una scarpa perché ci stanno stretti e io voglio tenerli comodi.
Arriva sempre il momento di prendere il coraggio a due mani e di dire alla poveretta che hai deciso di lasciare come stanno le cose.
Le donne amano l'uomo impegnato a causa di un preistorico retaggio. Se una ti ha preso vuol dire che vali. Fateci caso: quando siete "single" non vi caga nessuna. Quando, invece, avete una fidanzata ecco spuntare un agguerrito gineceo dietro la porta di casa.
Le donne amano la competizione a patto che si concluda con la vittoria. Vittoria sulla donna che nella nostra vita ha la precedenza.
Fa parte di loro, del loro modo di essere, della loro vanità. Hanno bisogno di dare linfa continua alla propria autostima. Di sentirsi le più belle, le più sensuali e le più erotiche. I maschietti un pò ci godono quando sono contesi ma non fanno altro che assecondare i desideri della donna più determinata che alla fine, vinta la partita, dopo poco tempo certamente li mollerà.
Fatte queste considerazioni ho detto al mio nipote acquisito: "vedi mio giovane amico, non pensare mai di giocare con le ragazze perché un giorno potresti scoprire di essere tu il giocattolo. Lei adesso ti sembra tanto speciale, ti dice che ti ama e tu non sai cosa fare. Allora pensa questo: l'amore molto raramente è figlio del colpo di fulmine. L'amore nasce dall'impegno, dall'accettazione dell'altro: si costruisce con il tempo e con lo stare insieme. Diffida sempre di una ragazza che ti dichiara amore subito dopo averti conosciuto".
Lui mi ha guardato e con fare pensieroso ha annuito. A bruciapelo gli ho chiesto: "La tua fidanzatina è poi così male?" Lui ci ha pensato un pò su e quindi mi ha risposto: "no zio, niente affatto, anzi..." al giovanotto brillano gli occhi ripensando alla sua ragazza, i ricordi del primo gelato preso insieme al chiosco di Giovinazzo, lo immagino, gli tornano in mente. Uno zio serve proprio a questo. A far riflettere. Lo guardo e sorrido alla sua espressione sognante. Allora accarezzo i suoi capelli corti, corti, con il gel che li tiene sparati e dritti e la mia risposta non si fa attendere. Semplice e sincera: "senti allo zio... statt a cast!"
Il giorno dopo l'ho visto passeggiare con la fidanzatina mano nella mano. Non so se mi ringrazierà, se gli ho dato il consiglio giusto. Forse domani lei conoscerà un bulletto che riterrà essere più figo di lui per il quale lo lascerà o forse, al contrario, cresceranno insieme fino a giungere all'altare, non lo so. Quello che so è quello che vedo: oggi è felice e lei, biondina dal sorriso buono e brillante, lo guarda con amore e, almeno per il momento, vede in lui il ragazzo più bello della terra. A questo servono gli zii... a dare buoni consigli.

domenica 10 novembre 2013

Il materasso abbandonato

Il materasso, cantava Renzo Arbore, è il massimo che c'è. Eppure un grave problema sembra smentire questa divertente affermazione: quello dei materassi abbandonati. Da qualche tempo infatti mi succede di imbattermi, sia per le vie di campagna che per quelle di città, dove porto il cane a passeggiare, in poveri materassi abbandonati.
La scena ogni volta è crudele. I materassi giacciono tristi e sconsolati nei pressi dei bidoni della mondezza o nel bel mezzo di sporche discariche improvvisate. Tralasciando il discorso dei rifiuti speciali vorrei parlare della vita di questi compagni fedeli. Sin dal principio. Di solito tutto comincia con una casa nuova. Soggiorno nuovo, cucina nuova e stanza da letto nuova. Occorre il materasso. Si va nel negozio specializzato oppure si chiama il numero della vendita televisiva. In ogni caso la scelta viene operata con grande attenzione.
Il materasso deve avere precise caratteristiche: ortopedico, anallergico oppure in lattice. La scelta è importantissima perché sappiamo che questo amico accompagnerà la nostra vita per molti anni. E molte saranno le cose che condividerà con noi. Il nostro riposo, le nostre letture, la visione dei film e naturalmente l'amore.
Il sottile strato delle lenzuola sarà tutto quello che separerà i nostri corpi dal contatto diretto con lui.
E lui, il materasso, costituirà il prato più comodo del nostro vivere, del nostro sognare e del nostro abbandono. Discreto. Non esprimerà giudizi, non farà classifiche, non ci dirà mai di alzarci.
Per anni ci accompagnerà fedele e silenzioso e l'unica cura che dovremo avere sarà quello di girare il lato ad ogni cambio di stagione.
Il tempo passa per tutti, anche per il materasso. Sul mercato spuntano modelli più evoluti, con le reti con le doghe in legno o che so io. Promesse di vita più sana solleticheranno la nostra vanità. E prima o poi qualcuno sentirà il desiderio di possedere un materasso nuovo, forse l'altro è vecchio o forse no.
Ed ecco profilarsi all'orizzonte l'idea dell'abbandono. Il vecchio materasso da fedele compagno di vita diventa all'improvviso un impiccio, qualcosa di cui liberarsi. Poco importa quante storie ha vissuto con noi e quante ore di sonno ristoratore abbia regalato. O quanti partner avrà ospitato e visto unirsi al suo proprietario. Non importa nulla. Solo una cosa: il materasso nuovo.
Senza alcun ritegno, con egoismo, nessuno si preoccuperà di ringraziare il fedele amico riservandogli almeno una fine decorosa. In fondo lo meriterebbe. Nottetempo il pavido possessore del nuovo materasso si aggirerà per le strade della città con il vecchio caricato in macchina o poggiato sul tetto della stessa. Ecco un bidone... sì quello va bene. Furtivo l'uomo uscirà dell'auto e frettolosamente si sbarazzerà del povero materasso. Scappando via subito dopo.
E lui, il vecchio giaciglio, resterà solo. Vicino ad uno sporco bidone. Pensando e ponendosi solo una domanda: "perché mi hai fatto questo? Ah! Se potessi parlare..."
Addio, vecchio strapunto. Riposa tu adesso in pace con te stesso. Hai vissuto e servito. Il tuo padrone, se può consolarti, resterà deluso dal nuovo arrivato. Forse non sarà così strepitoso come gli hanno raccontato dalla TV, forse non sarà così comodo come gli ha raccontato il commesso del negozio. Ed allora ripenserà a te. E capirà quanto si sia sbagliato, quanto abbia fatto male a lasciarsi sedurre dalle false promesse del nuovo venuto. Pentito verrà a cercarti ma non ti troverà. Qualcuno ti ha raccolto, in fondo sei ancora un buon materasso e il povero senza tetto ha pensato bene di portarti nella sua casetta sgangherata.
Sei di nuovo felice, in servizio a fare quello che sai fare meglio: regalare un prato comodo a chi ha deciso di tenerti con se. 

la maleducazione

Se dovessi rappresentare il fatto come scena di un mio romanzo scriverei così: "Eccoli. Trascorrono la serata sul lungomare, in allegri...